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12 June 2010

il Manifesto: Un Centro Città Soltanto per Ricchi

Un Centro Città Soltanto per Ricchi

di Francesco Gastaldon

Lo stadio «Coca Cola Park» a Johannesburg è
uno dei più vecchi del Paese, nonché uno dei pochi
che sorge al centro di una comunità urbana
densamente abitata. A differenza delle zone
che circondano gli stadi in riva al mare di Cape Town e
Durban, o dello spazio aperto intorno all’altro stadio di
Johannesburg, Ellis Park è un quartiere al confine della
Inner City, abitato da residenti di varia estrazione sociale
e noto per essere una zona «degradata» e problematica.
Visto da lontano, lo stadio della finale mondiale
di rubgy 1995 si innalza sopra una distesa di edifici popolari,
molti dei quali abbandonati e occupati da persone
che non riescono a permettersi un affitto a prezzi
di mercato nella Johannesburg del 2010. Kate Tissington,
ricercatrice del Socio-Economic Rights Institute
of South Africa, lavorava fino all’anno scorso al Centro
di Studi Legali dell’Università del Witwatersrand
e ha seguito personalmente molti casi di sgombero di
occupanti abusivi. «Il nostro centro di supporto legale
ha assistito recentemente alcuni cittadini che vivevano
in un edificio abbandonato a Betrams, vicino allo stadio
di Ellis Park», spiega Kate. «Gli occupanti sono stati
cacciati dai proprietari con l’uso della forza e lasciati
senza nessuna sistemazione alternativa. L’obiettivo era
quello di abbattere i vecchi edifici per creare un Priority
Block commerciale e immobiliare vicino allo stadio
in vista del Mondiale, con un progetto portato avanti
da una partnership pubblico-privata». A febbraio, in
un altro caso che ha fatto molto discutere, un migliaio
di altri abitanti di Ellis Park ha ottenuto dal tribunale
il diritto a tornare temporaneamente nelle case da
cui erano stati allontanati senza preavviso, perché lo
sgombero era avvenuto in modo irregolare. «Episodi
di sgombero violento non avvengono solo nei pressi
del Coca Cola Park», prosegue Kate, «in tutta la città
ci sono proprietari che cacciano cittadini senza mezzi
economici dagli edifici in cui vivono, e la situazione sta
peggiorando con l’arrivo dei mondiali di calcio. Anche
se hanno formalmente il diritto di farlo, il risultato è
che inquilini indigenti e occupanti abusivi si ritrovano
in mezzo a una strada». Gli immobili e le aree intorno
agli stadi della Coppa del Mondo fanno davvero molta
gola ad investitori e speculatori. Anche se i visitatori
previsti sono inferiori alle speranze del governo sudafricano,
si tratterà comunque di centinaia di migliaia di
tifosi e turisti che si riverseranno nelle principali città
del paese. Ma le operazioni di «pulizia» della città dalla
presenza poco gradita di gruppi marginalizzati e di attività
economiche «informali» non sono certo una novità
degli ultimi mesi a Johannesburg.

Il Mondiale degli sgomberi

Se nei pressi dello stadio di Ellis Park i sogni di speculazione
dei proprietari immobiliari stanno diventando
più concreti con l’avvicinarsi del torneo, gli altri quartieri
centrali di Johannesburg sono da anni oggetto di una
serie di strategie di «riqualificazione». «Riqualificare»
significa rendere le aree centrali della città appetibili a
potenziali residenti benestanti, al mondo degli affari e
agli investitori, per riuscire a trasformare radicalmente
il volto di Johannesburg, farla divenire una vera «world
class city» e nascondere le enormi disuguaglianze e contraddizioni
della città. Questi piani coinvolgono primariamente
la Inner City, il centro storico della città. La zona
della Greater Johannesburg è cresciuta negli anni in
modo incontrollato, generando una megalopoli che va da
Jo’burg a Pretoria, circondata da un nugolo di autostrade
e tangenziali che collegano le varie parti della conurbazione.
La galassia di township e quartieri periferici,
da Soweto a Sandton, da Randburg ad Alexandra, ruota
però intorno alla Inner City, i quartieri centrali riservati
ai residenti e commercianti bianchi durante l’apartheid.
Con la fine del regime, tuttavia, la Inner City ha iniziato
a mutare il suo aspetto e nel 1991 era una delle aree
più miste del Paese (con il 54% di appartamenti abitati
da bianchi). Con il Business Act del 1991, che rimuove
le barriere ai venditori di strada nella zona, le attività
commerciali informali hanno iniziato a fluire nella Inner
City, permettendo ai sudafricani neri di avere un’attività
di sussistenza nel centro di Jo’burg. Forse spaventati dal
mutamento in atto nell’Inner City, i residenti bianchi più
benestanti sono fuggiti in massa (nel 1996 appena il 5%
dei residenti era bianco), molti edifici abbandonati sono
stati occupati da persone indigenti e nell’immaginario
della classe media i quartieri centrali sono diventati sinonimo
di degrado, povertà ed illegalità diffusa. Da qui,
il passo verso la retorica dell’emergenza per la Inner City
è stato breve. Perché Johannesburg potesse tornare ad
essere «il cuore dorato dell’Africa», il centro storico della
capitale economica sudafricana doveva cambiare radicalmente
aspetto. Nel 2002 il progetto «Jo’bur 2030»
si è posto come obiettivo quello di attrarre investimenti
e di stimolare la crescita economia, per trasformare il
centro di Johannesburg in una «città di livello mondiacittà
le» entro il 2030. Nel 2003 è stata elaborata la «Inner
City Regeneration Strategy», a cui è seguita la Inner City
Regeneration Charter del 2007, con l’esplicito scopo di
riportare attività economiche di alto livello, mondo degli
affari e residenti benestanti all’interno dell’area.

Una città privata

Queste dinamiche di gentrification e riqualificazione
comportano, nella pratica, un processo di progressiva
privatizzazione dello spazio pubblico. Nella Inner City,
ad esempio, sono stati creati recentemente cinque City
Improvement Districts (Cid), aree che ricevono servizi
aggiuntivi da parte della municipalità nei settori della
sicurezza, della pulizia e del commercio, per i quali i residenti
devono pagare una tassa extra all’amministrazione.
Se la maggior parte dei proprietari immobiliari si
dichiara favorevole, la tassa diviene obbligatoria e viene
eletto un consiglio dei proprietari che tratta con la municipalità
e con le partnership pubblico-private incaricate
di riqualificare la zona. Chi paga un affitto e non possiede
immobili, però, non ha alcun potere decisionale
per quanto riguarda l’istituzione o la gestione del Cid.
Le logiche economiche private non sono rappresentate
solo da questi «distretti prioritari». Non è segreto che le
politiche di «rigenerazione» in atto a Jo’burg strizzino
l’occhio agli investitori di capitali: dal 2004 al 2008 un
flusso di ben 750 milioni di dollari si è riversato nella Inner
City come investimento commerciale ed edilizio, e
per ridare lustro alle proprietà immobiliari e per progetti
pubblici di facciata. La ristrutturazione immobiliare è
direttamente collegata all’aumento dei prezzi degli appartamenti
e degli affitti, che a Johannesburg tanti non
riescono a pagare. La maggior parte degli abitanti della
Inner City, infatti, è ancora costituita da poveri, molti dei
quali vivono di attività economiche informali (primo fra
tutti il commercio di strada, un settore che in un Sudafrica
in cui un quarto della popolazione è disoccupata dà
lavoro a quasi un milione di persone) e occupano edifici
fatiscenti abbandonati da tempo dai proprietari. Sono
proprio questi residenti, insieme ai lavoratori irregolari,
che il processo di riqualificazione punta ad allontanare
dai quartieri centrali di Jo’burg, per rifare il look
alla città. Se si guarda alle statistiche, si capisce che il
problema abitativo non è marginale nel Paese. Secondo
i dati del governo, il bisogno di case di edilizia popolare
è di 2,1 milioni di unità in tutto il Sudafrica. Nel 2004,
il 23% delle famiglie sudafricane nelle aree urbane non
aveva accesso ad una abitazione «formale», e cioè viveva
in baraccopoli o occupando in modo precario degli
alloggi.

Nella Inner City di Johannesburg, uno degli strumenti
usati delle autorità per liberare gli edifici occupati è il
Better Building Programme (Bbp), con cui vengono identificati
e sgomberati edifici in cattivo stato che costituiscono
«un rischio per la salute degli occupanti», facendo
appello alle norme igieniche e di sicurezza contenute nel
National Building Regulation Act. L’appello alla salute,
alla sicurezza e all’igiene per attuare politiche di sgombero
e «rimozione» degli abitanti, ricorda tristemente la
retorica messa in campo dai governi segregazionisti per
liberare i quartieri cittadini dai neri durante l’apartheid.
Il fenomeno non è per nulla marginale: secondo l’urbanista
Tanja Winkler, che studia da anni le dinamiche di
gentrification a Johannesburg, dal 2002 al 2009 ci sono
stati ben 125 palazzi espropriati in base al Bbp, con l’effetto
collaterale di lasciare migliaia di persone senza tetto.
Secondo Winkler ben 25mila persone nella Inner City
potrebbero ritrovarsi in strada se il Bbp venisse applicato
fino in fondo. Al di là degli aspetti politici e della violazione
del diritto alla casa, tutelato dalla Costituzione
sudafricana, la strategia del governo cittadino è anche
piuttosto miope: nella maggior parte dei casi chi rimane
senza casa non può far altro che occupare altri edifici
della zona. Non si può negare che in molti casi questi
palazzi siano in condizioni veramente pessime, senza
servizi e con problemi strutturali, ma le politiche delle
autorità sono incapaci di fornire un’alternativa reale al
problema. «In città c’è una esigenza enorme di alloggi
a prezzi economici, che cresce costantemente», spiega
Kate Tissington, «e naturalmente l’avvicinarsi della
Coppa del Mondo sta peggiorando la situazione». L’altra
soluzione è spesso quella di «ricollocare» i residenti
sgomberati in unità abitative costruite dal governo o
dalla municipalità in aree periferiche, lontano dalla città.
Ma come ha documentato di recente l’organizzazione
Centre for Housing Rights and Evictions di Ginevra attraverso
interviste molto accurate, sono pochi quelli che
accettano questa alternativa. Vivere in una zona densamente
abitata e centrale come la Inner City, infatti, offre
possibilità che non si trovano nelle periferie sub-urbane,
come lavori occasionali, commercio di strada, vicinanza
a trasporti e servizi.

Una questione di democrazia

Appare evidente che lo sforzo della municipalità per
trovare strategie di «rigenerazione» per Johannesburg
non ha preso in considerazione le esigenze, i problemi e
le opinioni degli abitanti più in difficoltà della Inner City.
«In Sudafrica non si può pensare di trovare soluzioni
senza consultare i poveri», riflette Zodwa Nsibande del
movimento di abitanti delle baraccopoli Abahlali base-
Mjondolo («quelli che vivono nelle baracche» in lingua
Zulu). «La nostra Costituzione è fortemente a favore
dei poveri, e tutela il diritto alla casa come diritto fondamentale.
L’applicazione delle leggi da parte delle autorità,
però, è spesso contro gli interessi e i bisogni dei
più poveri». Abahlali baseMjondolo, movimento nato a
Durban nel 2005, lotta ormai in varie altre città del Paese
per cercare di ottenere il «diritto alla città» e alla casa
per shack dwellers e occupanti informali. Ma le organizzazioni
che protestano contro l’idea di una città chiusa
ai settori più marginalizzati della popolazione sono ormai
molteplici. In Sudafrica, il ricordo della segregazione,
del razzismo e dell’esclusione è ancora molto forte. Il
criterio di accesso ai centri cittadini non è più solo razziale,
come durante l’apartheid, ma è basato sulla classe
sociale a cui si appartiene e al proprio reddito. Nel 2007
l’associazione di venditori di strada StreetNet International
ha lanciato la campagna «World Class Cities for
All», con l’obiettivo di mettere in discussione l’idea per
cui una città di «classe mondiale» debba liberarsi delle
attività economiche informali e dei residenti più poveri.
Fra le altre organizzazioni che appoggiano la campagna
ci sono gruppi senza tetto, sex worker, ragazzi di strada,
inquilini indigenti e shack dweller. «Perché i poveri devono
essere ulteriormente marginalizzati e scomparire
con l’avvicinarsi dell’arrivo dei tifosi del Mondiale?» si
chiede Pat Horn, coordinatrice della campagna. In effetti,
il suo interrogativo sarà ancora valido dopo la fine
del torneo a luglio 2010. A Johannesburg, Durban, Cape
Town fino ad arrivare alle altre città del Sudafrica, sarà
possibile pensare ad uno sviluppo urbano in cui ci sia
spazio anche per i poveri?