17 June 2010
Il Levante (Italy): Sudafrica: la favola dei mondiali
Sono passati sei anni da quando, il 15 maggio 2004, a Zurigo, i Mondiali di calcio del 2010 furono assegnati al Sudafrica. All’epoca, le parole di Nelson Mandela “il mio sogno si è realizzato. Insieme, possiamo farcela” riempirono di euforia e orgoglio tutti i sudafricani per i quali i Mondiali 2010 sarebbero diventati la prova delle loro capacità di organizzazione e testimonianza di un ritorno alla normalità in grande stile. Orgoglio che si estese a tutto il continente: per la prima volta la competizione avrebbe avuto luogo in Africa.
Da allora, ogni singolo dipartimento dello stato è stato coinvolto nel processo di preparazione e “Sudafrica 2010” è diventata la causa comune su cui concentrare i piani e le attività di tutti i settori della vita nazionale. Oggi, sei anni dopo, ecco arrivato il grande evento: è cominciato venerdì 11 giugno a Johannesburg, con la partita Sudafrica-Messico, e terminerà domenica 11 luglio con la finale, sempre nel nuovo stadio Soccer City, presso la township di Soweto.
“Questi Mondiali sono il simbolo del potere del calcio nell’unire gli uomini senza distinzioni di lingua, colore, politica e religione”, questo il discorso inaugurale pronunciato da Mandela in quello stesso stadio di Soweto in cui tenne il suo primo discorso da uomo libero.
Era l’11 giugno anche 46 anni fa, quando Nelson Mandela e i suo compagni di lotta clandestina furono riconosciuti colpevoli di sabotaggio nel processo di Rivonia. Il giorno successivo furono condannati all’ergastolo e, di cella in cella, il prigioniero Mandela rimase rinchiuso fino all’11 febbraio del 1990 quando finalmente tornò a essere un uomo libero e tenne il suo primo discorso pubblico davanti a 85mila persone nello stadio di Soweto, lo stesso che ha ospitato la gara inaugurale del primo storico mondiale in terra africana.
Non è di certo il primo Mondiale della storia ma è evidente l’alto valore simbolico che lo contraddistingue e che ha fatto sì che gli occhi di tutto il mondo si concentrassero sul Sudafrica e in particolare su Mandela che, nonostante gli acciacchi dell’età, ha dato il calcio di inizio alla grande gara internazionale.
Per il Sudafrica, che ancora 20 anni fa era un mondo a parte segregato nella vita di tutti i giorni e dunque escluso anche dallo sport internazionale (“niente sport normale in un paese anormale” era lo slogan dei calciatori neri più impegnati), il mondiale è diventato l’evento di rivincita, di autoaffermazione, il simbolo di un paese che attraverso il calcio si sente finalmente al centro del mondo, non più ai suoi piedi. “Dalle baracche alla dignità”, sta scritto sui cartelloni delle nuovissime autostrade che dagli aeroporti scaricano nelle città tifosi e giornalisti. Eppure qualcuno aveva espresso il dubbio che il Sudafrica non ce l’avrebbe mai fatta, che la Fifa aveva pronto un piano B per trasferire altrove il torneo all’ultimo momento. E invece Sudafrica 2010 è iniziato. “Dopo i mondiali non saremo più quelli di prima”, ha garantito il presidente Jacob Zuma. “Stiamo vivendo una trepidazione pari solo a quella del giorno in cui celebrammo le nostre prime elezioni libere nel ’94”.
La preparazione ai Mondiali è stata lunga, e innegabilmente seria. Tutti i maggiori aeroporti del paese sono stati radicalmente trasformati e modernizzati. Ogni singola superstrada delle aree metropolitane è stata rifatta. In tutte e nove le città scelte come sedi delle partite in programma sono stati costruiti stadi modernissimi, in alcuni casi davvero straordinari. I media – sia che fossero contrari o in favore – hanno contribuito a far sì che tutti i cittadini venissero coinvolti nel conto alla rovescia. Tuttavia, se è vero che molti – forse la maggior parte dei sudafricani – sono elettrizzati dall’evento e giudicano un onore e un’opportunità il diventare per un momento il centro dell’attenzione mondiale, molti altri considerano l’intera faccenda una perdita di tempo e di denaro, che non si risolverà a favore della gran parte della popolazione e che soprattutto ha escluso alcuni gruppi di cittadini, quali gli abitanti delle zone rurali, per i quali il Mondiale passerà del tutto inosservato.
La decisione di ospitare la Coppa del mondo fu dettata dalla prospettiva di ingenti benefici economici per la nazione. Ma sarà davvero così? Il miglioramento delle infrastrutture, gli investimenti di risorse in strade, aeroporti, stadi, hotel, ristoranti, possono di certo rappresentare una forte spinta all’economia, ed intervenire positivamente sulla creazione di opportunità lavorative. Ma rimane il dubbio che queste occupazioni saranno temporanee e che il governo sudafricano non sarà poi in grado di assorbire diversamente i cittadini rimasti senza lavoro.
C’è chi poi critica la scelta di destinare tanti soldi all’organizzazione di un evento sportivo come i Mondiali, piuttosto che investirli per il miglioramento delle condizioni di vita dei sudafricani, in un Paese dove la metà della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. In riferimento a ciò, ad esempio, l’Ong Equal Education ha calcolato che con i 4,5 miliardi di rand spesi per tirare su lo stadio di Cape Town sarebbe stato possibile costruire 9 mila biblioteche scolastiche, in una regione, il Western Cape, dove solo il 53% delle scuole può contare su una biblioteca. Persino la Fondazione Nelson Mandela si è lamentata del fatto che in troppi casi i poveri siano stati lasciati ai margini del grande evento.
Ma se anche i Mondiali rappresentassero davvero una spinta verso lo sviluppo economico, rimane comunque l’incognita della distribuzione dei benefici tra tutta la popolazione. Già nello scorso decennio, il Sudafrica ha registrato una notevole crescita economica ma, nello stesso periodo di tempo, il tasso di ineguaglianza tra ricchi e poveri è cresciuto a una velocità allarmante, al punto che oggi il paese è tra le nazioni con il più ampio divario tra ricchi e poveri. E’ indubbio che la semplice crescita economica di un paese non si traduce di per sé stessa in una più equa spartizione dei benefici tra i suoi abitanti e la paura è che anche lo sforzo economico compiuto per l’allestimento di “Sudafrica 2010” vada a vantaggio delle solite élite e a svantaggio dei ceti sociali più poveri.
Un’ulteriore preoccupazione è legata all’impatto ambientale del mega evento. Anche se sono state prese misure per minimizzare gli effetti negativi di una improvvisa – e mai sperimentata prima – affluenza di visitatori, tutti decisi a spendere e consumare, non è detto che le infrastrutture nazionali siano pronte a gestire la situazione. Tra l’altro, l’economia sudafricana è ancora troppo dipendente dall’energia derivata dal carbone e possiede poche sorgenti energetiche alternative. Si è calcolato che l’impatto di “Sudafrica 2010”, in termini di emissioni di carbonio nell’aria, sarà più di 20 volte superiore a quello di “Germania 2006″”.
Infine, sempre dal punto di vista delle ricadute economiche, si teme che gli stadi costruiti con capienze imposte dagli standard richiesti dalla Fifa siano destinati a diventare vere e proprie “cattedrali nel deserto”, cioè opere dispendiose ma inutili e insostenibili.
Si è già detto del valore simbolico dei Mondiali, non solo come evento di riscatto ma anche come evento capace di rinsaldare la coesione nazionale. A tale proposito, c’è il rischio che i sudafricani, che tante speranze e significati hanno riposto in questo evento, possano rivoltarsi contro di esso in caso di sconfitta della loro squadra locale, i Bafana Bafana.
La coesione sociale è minacciata anche da altre questioni, come quelle relative al tentativo del governo di ripulire le città da tutto ciò che può turbare l’immagine che si vuole dare del paese. Migliaia di baracche e casupole abusive, costruite lungo le superstrade, sono state già abbattute. Proprio in riferimento a questo, la rivista Carta, insieme al missionario comboniano Alex Zanotelli, hanno lanciato un appello alle autorità sudafricane alle quali si chiede di garantire i diritti della popolazione povera ed emarginata. L’appello è indirizzato all’ambasciatrice sudafricana in Italia, Thenjiwe Mtintso, e mira a denunciare proprio il trattamento subito in questi mesi dagli abitanti delle baraccopoli e dai venditori di strada. Nell’appello si denunciano anche le azioni di repressione e gli attacchi violenti ai danni dei movimenti impegnati nella tutela dei diritti. In particolare si denunciano le azioni violente contro Abahlali baseMjondolo, movimento per la promozione dei diritti in Sudafrica e che ha promosso anche la campagna “Mondiali al contrario”, che intende dare voce ai poveri e agli emarginati, quegli stessi cittadini che il governo cerca di rendere invisibili agli occhi dei media internazionali e dei turisti.
M’du, un attivista, afferma: “Ci dicono sempre che la Coppa del Mondo sarà un beneficio soprattutto per i poveri del paese. Ma la verità è che non riusciremo neanche a permetterci di comprare un biglietto e saremo fortunati se riusciremo a guardare la partita in TV. I soldi spesi per gli stadi sarebbero dovuti andare alla costruzione di case e ospedali”.
Come al solito, c’è sempre una seconda faccia della medaglia, e questo è soltanto un altro modo per guardare a questi mondiali così tanto celebrati.