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27 January 2010

Sud Africa ha già perso

Sud Africa ha già perso

di Francesco Gastaldon e Filippo Mondini

A CAPE TOWN, negli ultimi mesi, sono stati espulse almeno ventimila persone dai vari «settlements» [insediamenti informali] della città per essere spostate di forza in casette costruite tra l’aeroporto e la città. L’opera di «beautification» [«abbellimento»] è cominciata. Ma questo la propaganda per i mondiali di calcio 2010 in Sud Africa non lo dice. È anche così che le autorità sudafricane si preparano a ospitare i mondiali in programma tra giugno e luglio. Nell’immaginario collettivo italiano il Sud Africa è noto per due cose: l’African national congress [Anc], il parti-to-Stato di Mandela, e i campionati del mondo 2010. Mandela e il suo partito fanno venire in mente momenti gloriosi di speranza e di liberazione, di lotta e di sacrificio. I mondiali di calcio, invece, fanno venire in mente una immagine di Africa che ce l’ha fatta, che finalmente ha raggiunto standard occidentali. E liberisti. Purtroppo questi due grandi miti, a un’osservazione meno superficiale, si rivelano ennesimi giganti dai piedi d’argilla. L’Anc ha ormai rivelato la sua natura antidemocratica. La repressione e gli omicidi politici contro il movimento sociale Abahlali baseMjondolo sono lì a ricordarlo [si vedano gli articoli pubblicati negli ultimimesi su Carta e su www.carta.org].

I campionati del mondo, al contrario, sono un mito più difficile da smontare. La potente retorica sudafricana ha fatto velocemente il giro del mondo e ormai anche in Italia si pensa ai prossimi mondiali di calcio come a un momento di redenzione collettiva, una grazia millenaria, una benedizione piovuta sul continente africano. Quello di cui non si parla, in Italia come in Sud Africa e in altri paesi, è l’impatto che questo mega-evento avrà sulla popolazione e soprattutto sui poveri. In passato i mondiali di calcio come le Olimpiadi hanno
sempre lasciato enormi debiti da pagare e strutture quasi inutilizzabili. La città di Montreal, ad esempio, ha impiegato circa trent’anni per ripagare il debito contratto in occasione delle Olimpiadi. Che cosa succederà in Sud Africa? Certamente, quello che il campionato del mondo non farà sarà ridurre le enormi disuguaglianze che il liberismo ha prodotto sul suolo africano, né eliminerà le guerre del petrolio in Darfur o nel Delta del Niger, né quelle del coltan [il minerale necessario per il telefonini] in Congo. Il campionato ha già consentito alle élites locali l’opportunità di riorganizzare le città secondo i loro interessi. Ma questo non è un fatto nuovo. Alcuni studi hanno dimostrato che i Giochi olimpici hanno consentito alle varie municipalità di sfrattare dalla città più di due milioni di persone, negli ultimi vent’anni. In occasione delle Olimpiadi di Pechino, furono sfrattate più di un milione di persone.

A proposito di nuovi stadi: poco più di un mese fa, il derby locale di Durban fra Maritzburg united e AmaZulu ha inaugurato ufficialmente il nuovo stadio Moses Mabhida, un’imponente opera architettonica, considerata uno dei migliori e più affascinanti impianti sportivi al mondo. Il nuovo stadio di Durban è uno dei fiori all’occhiello del Comitato organizzatore dei mondiali di calcio. Con più di settantamila posti a sedere, il Moses Mabhida sfoggia un arco panoramico a centodieci metri d’altezza che funge da ponte fra le due curve, con un trenino di produzione italiana che permetterà ai visitatori di ammirare il panorama della baia dall’alto, e un campo di erba verdissima importata dagli Stati uniti. Come scriveva qualche giorno fa un quotidiano locale, «nulla è stato trascurato per garantire a Durban uno dei migliori stadi al mondo». L’opera è costata 3,1 miliardi di rand sudafricani, circa duecentottanta milioni di euro, e sorge a poche centinaia di metri dal «vecchio» stadio di Durban.

In Sudafrica la gente comune chiama queste opere «white elephant», creazioni dal costo spropositato e dalla dubbia utilità: la certezza è che dopo luglio 2010 gli stadi di Durban, Cape Town, Johannesburg e altre città giaceranno inutilizzati e continueranno ad assorbire ingenti quantità di denaro per la manutenzione, sottraendolo ai programmi sociali per i più poveri. Il Sudafrica è il paese delle contraddizioni. Chissà se arrampicandosi sull’arco panoramico del Moses Mabhida si riusciranno a scorgere le abitazioni degli «shack dwellers», costruite di cartone pressato e legno inchiodato e con i tetti di lamiera che sorgono a decine di migliaia negli insediamenti informali di Durban e dintorni, proprio quegli «shack settlement» che le autorità vorrebbero «sradicare» prima di giugno per non turbare i tifosi.

La vera domanda allora è se un evento sportivo ed economico come i mondiali di calcio 2010 porterà benefici reali alla popolazione sudafricana, a quei milioni di cittadini che vivono sotto la soglia di povertà o che costruiscono il proprio «shack» ai margini delle città. Naturalmente, la propaganda del governo e della Fifa, la Federazione internazionale delle associazioni di calcio, descrive la coppa del mondo come un’occasione unica per il paese. Una delle illusioni più frequenti riguarda l’aumento dell’occupazione: l’evento dovrebbe aiutare quel 31 per cento di disoccupati [dato della fine del 2009] a trovare un lavoro. Questo mito, tuttavia, si sta dimostrando infondato, e ormai anche la diecistampa sudafricana se ne sta rendendo conto. Le assunzioni, nella maggior parte dei casi, sono state a brevissimo termine, lavori estremamente precari senza alcuna prospettiva di un impiego duraturo.

Solo a Durban, migliaia di operai edili e lavoratori delle costruzioni hanno già perso il lavoro dopo il completamento del nuovo stadio, e in tutto il paese saranno decine di migliaia quelli che riceveranno come regalo del nuovo anno un licenziamento. Il portavoce di uno dei principali sindacati sudafricani ha detto pochi giorni fa che più di metà degli iscritti si ritroverà disoccupato in pochi mesi, con la fine dei progetti faraonici pre-2010.

Al di là della propaganda, dunque, per i cittadini più poveri del Sud Africa la Coppa del mondo comporta conseguenze drammatiche. Per citare solo alcuni esempi, negli ultimi anni a Durban migliaia di venditori di strada sono stati cacciati dai mercati in cui operavano da anni, per fare spazio ai venditori ufficiali associati alla Fifa e per costruire nuovi parcheggi. A Cape Town e Johannesburg le zone intorno agli impianti sportivi sono state «ripulite» da senza tetto e baracche, e nel KwaZulu-Natal il governo ha approvato il famigerato Slums Act per imprimere un’accelerazione agli sgomberi delle baraccopoli, con l’obiettivo dichiarato di fare il «lifting» alla città di Durban e renderla una «world class city». Zodwa Nsibande, tra i promotori di Abahlali baseMjondo, spiega che «lo Slums Act che abbiamo sconfitto ricorrendo alla Corte costituzionale era stato scritto pensando ai mondiali del 2010». La situazione non è migliore fuori dalle città, in zone come le aree rurali dello Zululand, sulla costa che da Durban porta fino al Mozambico. L’organizzazione Rural Network, che lotta per il diritto alla terra degli abitanti delle aree rurali, sta resistendo ai progetti di «sviluppo» per l’area di Macambini che il governo locale sta promuovendo insieme a una multinazionale con sede a Dubai. Secondi i piani, diecimila famiglie perderebbero le case, i campi, i villaggi e il bestiame, per fare spazio a parchi a tema e hotel in una zona grande sedicimila ettari. Quattro cliniche pubbliche etrenta scuole verranno abbattute per costruire le strutture.
Il tutto, naturalmente, per attirare i turisti in vista del giugno 2010. Mavuso, coordinatore del Rural Network, commenta: «Distruggere scuole e ospedali, con un’operazione calata dall’alto: questo è lo sviluppo per il governo!».

A Johannesburg, Capetown, Bloemfontein, Durban, la forza dei bulldozer prepara con prepotenza la via ai mondiali. Come a Mbombela, che ospiterà alcune partite del mondiale in uno stadio da 45 mila persone nuovo. Un impianto bellissimo, costruito su 118 ettari di terra. Peccato che fosse una terra ancestrale abitata dagli Matsafeni una tribù Swazi che è stata forzatamente deportata. Chissà se rimarrà qualche traccia della loro presenza quando i turisti andranno da Mbombela al vicino Kruger Park.

La logica del governo, per ripulire le città e ripianificare, è creare Transit Camps, dove poter ospitare, loro dicono momentaneamente, finché non saranno pronte le case, i poveri. Ma i Transit Camps in Sud Africa fanno Paura e puzzano di apartheid, segregazione e oppressione.

Erano le stesse misure adottate da Peter Botha o Frederick De Klerk [presidenti del Sud Africa negli anni ottanta] per controllare meglio la popolazione. Ma questo l’Anc se l’è scordato e ripropone le stesse misure a Durban, dove centinaia di famiglie dovrebbero essere ridislocate a Syanda, a Johannesburg, Cape Town e in tutto il paese. Clamoroso è il caso di Johannesburg, dove dovrebbero essere sfrattate diverse migliaia di persone dal centro città. Ma gli abitanti si stanno organizzando per resistere. Dalla loro parte è anche un pezzo importante delle chiese sudafricane. Il KwaZulu Natal Church Leaders Group, in un comunicato diffuso dopo la repressione di Kennedy Road in settembre [in cui furono uccise tre persone e molte furono ferite], ha scritto che i sudafricani non sono pronti per farsi prendere in giro da illusori discorsi di sviluppo. I leader religiosi, tra cui il cardinale Wilfrid Napier, sostengono che la logica che muove la coppa del mondo è dettata dagli interessi delle élites e delle multinazionali. I poveri delle periferie non hanno posto in questo modello. Mzonke Poni, leader di Abahlaly, conclude: «Non ho tempo di pensare al calcio. Ho problemi più grandi».

Gli autori del reportage

Francesco Gastaldon, laureato in cooperazione e sviluppo all’università di Bologna, ha realizzato alcune ricerche a Durban, in Sud Africa, sugli insediamenti informali della città. Filippo Mondini è missionario comboniano a Castel Voltuno [Caserta] e ha vissuto molti anni in Sud Africa. Diversi loro articoli sono leggibili su carta.org.