Sud Africa. La guerra contro il movimento dei baraccati, Abahlali

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Sud Africa. La guerra contro il movimento dei baraccati, Abahlali
Filippo Mondini :: Francesco Gastaldon da Durban

Il più grande movimento sociale dei baraccati, Abahlali, è da tre giorni al centro di una violenta repressione da parte di milizie armate e polizia. Di certo, l’autogoverno del movimento non piace all’African national congress

Da tre giorni Abahlali baseMjondolo [«quelli che vivono nelle baracche» in lingua zulu] è sotto violento attacco da parte della milizia armata dall’African national congress [Anc]. Il teatro delle violenze è l’insediamento di Kennedy Road, una delle più grandi baraccopoli di Durban. Si tratta di un insediamento informale, dove vivono settemila persone, ed è il luogo dove, nel 2005, è nato il movimento Abahlali baseMjondolo, che lotta per i diritti alla casa e all’accesso ai servizi pubblici. La battaglia di Abahlali è anche diventata una battaglia di democrazia: secondo il movimento, le autorità devono consultare i residenti degli insediamenti [shack dwellers] prima di prendere decisioni che riguardano gli insediamenti e il loro futuro. La lotta del movimento si è concretizzata anche in un rifiuto della politica istituzionale, che non fornisce adeguate risposte ai problemi dei cittadini shack dwellers, e nel rifiuto di votare alle elezioni.

Abahlali è costituto da migliaia di persone e ha migliaia di simpatizzanti di vari insediamenti nel KwaZulu-Natal e nell’area di Città del Capo. Abahlali elegge annualmente i suoi rappresentanti, ma il cuore del movimento sono le assemblee di gestione che hanno il potere decisionale e sono aperte a tutti.

Nell’insediamento di Kennedy Road, Abahlali lavora insieme al Kennedy Road Development Committee [Krdc]. Nella notte di sabato 26 settembre, quelli del Krdc sono stati vittima di un attacco da parte di un gruppo di 40 uomini armati. Ci sono stati dei morti, alcuni media dicono tre altri cinque. La polizia, per quanto avvertita, non è arrivata a Kennedy Road. Nella stessa notte, i leaders del movimento sono stati presi di mira. Le loro case e i loro negozi sono stati distrutti. Dalle prime ricostruzioni pare evidente che il gruppo di criminali che ha sferrato l’attacco abbia legami diretti con la leadership locale dell’Anc, che aveva promesso, due settimane fa, che avrebbe «reso la sede di Abahlali baseMjondolo una sede dell’Anc».

La polizia è giunta la mattina di domenica e ha arrestato otto persone, tutti attivisti del Krdc. Tra i fermati ci sono anche alcuni che stavano partecipando a una festa popolare a chilometri di distanza quando è avvenuto l’attacco.

La polizia presidia l’insediamento e non fa nulla per evitare che gruppi di criminali armati si aggirino per Kennedy Road. Migliaia di persone hanno abbandonato la baraccopoli. Oltre alle donne e ai bambini, anche gli attivisti di Abahlali hanno lasciato l’insediamento per le minacce di morte ricevute.

Lunedì mattina il presidente della circoscrizione e l’assessore provinciale alla sicurezza sono giunti all’insediamento con una massiccia presenza di polizia. Le autorità hanno lanciato accuse al Krdc, sostenendo che i suoi attivisti sono stati i primi a iniziare le violenze. Vari testimoni, alcuni estranei alle vicende locali, affermano il contrario. Dopo la conferenza l’insediamento è stato lasciato nelle mani di gruppi di uomini armati al soldo dell’Anc che hanno distrutto l’ufficio di Abahlali e minacciato di morte diversi attivisti. Anche simpatizzanti del movimento e vari giornalisti sono stati minacciati ed è stato loro intimato di non avvicinarsi all’insediamento.

Negli ultimi anni il movimento è stato continuamente bersaglio della polizia. I suoi membri sono stati arrestati molte volte, accusati di crimini mai commessi, picchiati, perseguitati, minacciati. Le manifestazioni del movimento sono state vietate e represse, e le autorità hanno cercato di rappresentare il movimento come manovrato da forze esterne e antidemocratiche.

In queste ore i comunicati dell’Anc cercano di addossare la responsabilità di quanto accaduto agli attivisti del movimento e sostengono che sia «inaccettabile che un’associazione decida orari di chiusura ad esercizi commerciali nelle baraccopoli e che imponga alle persone un coprifuoco durante la notte». Per l’Anc non è democratico rispettare una norma di autoregolazione che una comunità si è data, lo è invece un attacco armato che uccide e lascia centinaia di persone senza casa.

È innegabile che il movimento continua a fare paura soprattutto all’ex partito «rivoluzionario». Il fatto che i poveri abbiano deciso di parlare, di fare sentire la propria voce denunciando i tradimenti dell’elite politica è avvertita come una minaccia. L’Anc vuole riconquistare, con ogni mezzo, i territori controllati democraticamente dal movimento.

Il movimento sta dando fastidio con la sua lotta alla corte costituzionale, dove si sta cercando di dichiarare incostituzionale una legge che garantirebbe alle varie municipalità di radere al suolo gli insediamenti e ricacciare gli abitanti verso il «deserto» delle periferie. Sta dando fastidio con il suo rifiuto di partecipare alla «politica» dei partiti, perché è una rete che cresce in tutto il Sud Africa e si oppone agli sgomberi forzati che il governo attua per garantire un immagine patinata in occasione del 2010. L’apartheid non è finito.