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Carta: Polizia fuori controllo nelle baraccopoli di Durban

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Polizia fuori controllo nelle baraccopoli di Durban
Francesco Gastaldon
[18 Novembre 2009]

Per il movimento sudafricano Abahlali le violenze della polizia fanno parte del più generale attacco ai danni del movimento degli «shack dwellers», le persone che vivono nelle baracche

Durban, Sudafrica. Nella notte fra venerdì e sabato scorsi l’insediamento informale di Pemary Ridge, affiliato al movimento di shack dwellers Abahlali baseMjondolo [«quelli che vivono nelle baracche» in lingua zulu], è stato al centro di una brutale operazione di polizia. Intorno alle otto di venerdì sera, un’auto privata con a bordo alcuni agenti di polizia è giunta all’insediamento. Gli agenti hanno cominciato a perquisire vari shack, alla ricerca di rivenditori abusivi di alcolici. Le perquisizioni, tuttavia, si sono ben presto trasformate in feroce violenza nei confronti dei residenti di Pemary Ridge, che è andata avanti per più di tre ore. Con l’aiuto di un’altra decina di colleghi giunti a dare manforte, la polizia ha fatto irruzione in varie baracche, trascinando gli abitanti in strada e picchiandoli con manganelli e bastoni. Un uomo, che tornava a casa dopo il lavoro ignaro di quello che stava accadendo, è stato aggredito senza alcun motivo. «Questo servirà a darvi una lezione!» hanno gridato gli agenti, aggiungendo che vedere un uomo che torna a casa ferito «sarà una lezione per tutta la comunità». Decine di persone, donne comprese, sono state aggredite brutalmente anche all’interno dei loro «shack» [l’insediamento informale]. Molti residenti sono fuggiti nella boscaglia vicina per nascondersi, mentre varie donne hanno creato delle barricate con pneumatici e altri oggetti di fortuna. Gli abitanti di Pemary Ridge hanno raccontato che la polizia ha anche aperto il fuoco, sparando in modo casuale decine di colpi in tutto l’insediamento. L’operazione si è conclusa con vari feriti, di cui uno in gravi condizioni, e tredici persone arrestate. Una volta di fronte al magistrato, la mattina di lunedì, il fermo non è stato convalidato e tutti gli arrestati sono stati rilasciati.

La sezione del movimento Abahlali baseMjondolo a Pemary Ridge ha diffuso un comunicato nel quale spiega che questa è la terza brutale operazione di polizia che avviene nell’insediamento informale Pemary Ridge dalla fine di settembre, dopo gli attacchi a Kennedy Road. Come Carta ha già raccontato, la notte del 26 settembre una folla di circa quaranta persone aveva assaltato il vicino insediamento di Kennedy Road, gridando slogan contro i leader di Abahlali e distruggendo le loro case. Da quel giorno, vari membri del movimento, fra cui i suoi leader principali, vivono in clandestinità con le loro famiglie.
Nonostante la ragione ufficiale dell’operazione di venerdì a Pemary Ridge sia apparentemente la ricerca di alcool e droga, il movimento afferma che «è chiaro che le azioni della polizia a Pemary fanno parte del più generale attacco ai danni di Abahlali baseMjondolo».

La polizia che ha condotto l’azione è quella del distretto di Sydenham, conosciuta dagli shack dwellers per la sua brutalità e la sua inefficienza. La notte degli attacchi a Kennedy Road, la polizia è giunta all’insediamento dopo diverse ore dalla prima chiamata e si è limitata a stazionare all’ingresso della baraccopoli, senza intervenire per fermare gli attacchi ai danni dei residenti. Per questa ragione, Abahlali ha accusato la polizia di connivenza con gli aggressori e con i mandanti degli attacchi.

L’ultimo episodio di violenza a Pemary Ridge avviene mentre in tutto il Paese si assiste ad una escalation di brutalità da parte della polizia, legittimata dalle autorità politiche. All’inizio di ottobre il presidente Zuma aveva dichiarato che, per affrontare con durezza il problema della criminalità, la polizia deve «sparare per uccidere». Nelle ultime settimane la «shoot-to-kill policy» ha causato varie vittime [fra cui un bimbo di tre anni a Cape Town, freddato da un agente perché «teneva in mano qualcosa di sospetto»], costringendo Zuma a precisare precipitosamente che «la polizia non ha comunque licenza di uccidere».

Operazioni di polizia come quella di venerdì sera non sono purtroppo una novità nelle baraccopoli sudafricane, come il movimento Abahlali non si stanca di ripetere. ll grande movimento sociale Abahlali è dunque da settimane al centro di una violenta repressione [la più grave in settembre, quando sono state uccise tre persone e decine sono state ferite nell’insediamento di Kennedy Road] da parte di milizie armate e polizia e di certo, l’autogoverno del movimento non piace all’African national congress [il partito al governo] soprattutto dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha dato ragione al movimento circa l’obbligo di procedere a eventuali sgomberi soltanto dietro un provvedimento di un tribunale. La giustificazione degli attacchi della polizia è sempre quella di riprestare la «legalità»: impedire connessioni irregolari all’elettricità, sgomberare degli shack, impedire la rivendita di alcolici, ma troppo spesso si trasformano in brutali operazioni di repressione a danno dei cittadini più poveri del Paese. I riflettori puntati al Sudafrica che si prepara ai mondiali del 2010, però, faticano a fare luce in questi angoli oscuri della politica sudafricana.

Carta: Una eccezionale intervista al presidente del movimento sudafricano Abahlali

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Una eccezionale intervista al presidente del movimento sudafricano Abahlali, oggi clandestino perche il governo e la finanza vogliono speculare sulle aree delle baraccopoli

intervista a S’bu Zikode di Francesco Gastaldon

ABAHLALI BASEMJONDOLO [«Quelli che vivono nelle baracche» in lingua zulu, «shakdwellers» in inglese], come abbiamo raccontato su Carta 35/09, è un grande mo-vimento sociale sudafricano nato alla fine del 2005 per protestare contro la ca-renza di servizi di base nelle baraccopoli e la mancata distribuzione di case nelle città. Il mo-vimento ha fin da subito denunciato l’atteggiamento delle autorità locali, incapaci di vede-re le esigenze reali dei poveri urbani. Abahlali si è diffuso nel Kennedy Road di Durban, poi in altri insediamenti informali nella regione del KwaZulu-Natal e in quella di Città del Capo.

Le battaglie principali di Abahlali si sono concentrate nel contrastare gli sgomberi indiscri-minati delle baraccopoli. Uno dei punti centrali della lotta del movimento è la volontà di es-sere considerati cittadini a pieno titolo e di essere consultati nelle decisioni che riguardano le loro vite. Nella sua breve vita il movimento è stato vittima di molti episodi di repressione e di tentativi di delegittimazione da parte delle autorità. La notte del 26 settembre quaranta uo-mini armati hanno attaccato l’insediamento di Kennedy Road, dove si trovava l’ufficio centra-le di Abahlali, uccidendo tre persone, distruggendo molte abitazioni e facendo fuggire centi-naia di famiglie. Secondo varie ricostruzioni, sembra che alcuni responsabili locali dell’African national congress [Anc], il partito di governo, siano coinvolti nella pianificazione degli attacchi. S’bu Zikode [nella foto], uno dei,promotori e presidente di Abahlali, è ri-masto senza casa e vive clandestino da quella notte in-sieme alla sua famiglia, dopo essere stato ripetuta-mente minacciato di morte. Carta è riuscita a incon-trarlo in una casa nei dintorni di Durban, dove è ospi-te da alcuni amici.

Sud Africa. Dopo aver subito violenti attacchi, i baraccati si organizzano

http://www.carta.org/campagne/dal+mondo/18439

La situazione è ancora molto tesa a Durban, dopo gli attacchi dello scorso fine settimana, nei quali hanno perso la vita almeno due persone, presso l’insediamento di Kennedy Road, sede del movimento sociale dei baraccati Abahlali.

La situazione è ancora molto tesa a Durban, dopo gli attacchi dello scorso fine settimana, nei quali hanno perso la vita almeno due persone, presso l’insediamento di Kennedy Road, sede principale del movimento sociale dei baraccati Abahlali baseMjondolo. Sabato scorso l’insediamento, nel quale vivono più di sette mila persone, è stato al centro di un attacco da parte di un gruppo di quaranta uomini armati. Secondo molti attivisti di Abahlali, dietro l’attacco ci sarebbero addirittura la polizia e l’African national congress. Circa un migliaio di persone rimangono ancora senza casa dopo aver perso il loro alloggio, alcuni perché hanno avuto la casa distrutta, altri perché hanno dovuto lasciare l’insediamento dopo essere stati più volte minacciati e aggrediti in quanto attivisti o simpatizzanti di Abahlali baseMjondolo. Molte famiglie sono alloggiate presso familiari e amici, altri invece sono senza un riparo. Il vescovo anglicano del KwaZulu-Natal, dopo aver scritto un duro comunicato di condanna per quello che è accaduto, sta organizzando iniziative di solidarità per gli sfollati. E’ stato aperto anche un conto bancario per aiutare chi ha perso casa, oggetti personali, proprietà.

Il movimento ha tenuto giovedì 1 ottobre un primo incontro in una località segreta nei dintorni di Durban. Molti degli attivisti di Abahlali vivono ancora nascosti per paura di ritorsioni e attacchi.

Il ruolo della polizia continua a restare molto ambiguo e discutibile. Nel distretto di Sydenham la polizia nega di conoscere le disposizioni che erano state decise dal comitato di sicurezza del Kennedy Road Development Committee [Krdc] per arginare la violenza [in particolare verso le donne] nell’insediamento. Fra queste, c’è la decisione di chiudere i bar all’interno della baraccopoli alle ore 22, per evitare problemi di violenza legati all’abuso di alcool, scelta questa giudicata strumentalmente «un coprifuoco inaccettabile» e una «violazione della libertà personale» da parte delle autorità circoscrizionali e municipali. La dichiarazioni degli uomini dlla polizia, però, risultano palesemente false, hanno spiegato gli attivisti di Abahlali, in quanto ci sono diversi testimoni, anche internazionali, che hanno assistito ad assemblee nelle quali queste e altre norme di «autogoverno» sono state illustrate alla comunità, alla presenza della polizia che aveva salutato positivamente queste disposizioni.

Intanto, un grande movimento di solidarietà con Abahlali sta esercitando in questi giorni un’importante pressione politica verso le autorità municipali e regionali. Quasi mille persone hanno firmato una lettera-petizione al presidente Zuma, dove si chiede di far chiarezza su quello che è accaduto e in cui si protesta per l’atteggiamento di polizia e autorità. Accademici e intellettuali ha scritto ai giornali e moltissime organizzazioni non governative, movimenti, leader religiosi e associazioni hanno protestato duramente [anche in altre città, tra cui Londra] per ciò che sembra essere un chiaro attacco politico a questo grande movimento sociale. La lista completa degli appelli per Abahlali, in continuo aggiornamento, si può trovare nel sito del movimento [www.abahlali.org], nel quale sono stati anche pubblicati diversi video su i giorni successivi agli attacchi.

Una notizia delle ultime ore ha confermato che gli otto attivisti del Kennedy Road Development Committee, arrestati fra domenica e lunedì, saranno processati il giorno 8 ottobre per le accuse di omicidio e aggressione, anche se in realtà gli attivisti di Krdc e Abahlali sono le vittime del violento attacco della scorsa settimana. Nessun’altro è stato fermato dalla polizia per le violenze di quella notte. Le autorità, per bocca del presidente della circoscrizione Yakoob Baig e dell’assessore provinciale Willies Mchunu, hanno detto, in una conferenza stampa, che ora l’insediamento è stato «liberato» da Abahlali e regnerà finalmente «l’armonia».

Sud Africa. La guerra contro il movimento dei baraccati, Abahlali

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Sud Africa. La guerra contro il movimento dei baraccati, Abahlali
Filippo Mondini :: Francesco Gastaldon da Durban

Il più grande movimento sociale dei baraccati, Abahlali, è da tre giorni al centro di una violenta repressione da parte di milizie armate e polizia. Di certo, l’autogoverno del movimento non piace all’African national congress

Da tre giorni Abahlali baseMjondolo [«quelli che vivono nelle baracche» in lingua zulu] è sotto violento attacco da parte della milizia armata dall’African national congress [Anc]. Il teatro delle violenze è l’insediamento di Kennedy Road, una delle più grandi baraccopoli di Durban. Si tratta di un insediamento informale, dove vivono settemila persone, ed è il luogo dove, nel 2005, è nato il movimento Abahlali baseMjondolo, che lotta per i diritti alla casa e all’accesso ai servizi pubblici. La battaglia di Abahlali è anche diventata una battaglia di democrazia: secondo il movimento, le autorità devono consultare i residenti degli insediamenti [shack dwellers] prima di prendere decisioni che riguardano gli insediamenti e il loro futuro. La lotta del movimento si è concretizzata anche in un rifiuto della politica istituzionale, che non fornisce adeguate risposte ai problemi dei cittadini shack dwellers, e nel rifiuto di votare alle elezioni.

Abahlali è costituto da migliaia di persone e ha migliaia di simpatizzanti di vari insediamenti nel KwaZulu-Natal e nell’area di Città del Capo. Abahlali elegge annualmente i suoi rappresentanti, ma il cuore del movimento sono le assemblee di gestione che hanno il potere decisionale e sono aperte a tutti.

Nell’insediamento di Kennedy Road, Abahlali lavora insieme al Kennedy Road Development Committee [Krdc]. Nella notte di sabato 26 settembre, quelli del Krdc sono stati vittima di un attacco da parte di un gruppo di 40 uomini armati. Ci sono stati dei morti, alcuni media dicono tre altri cinque. La polizia, per quanto avvertita, non è arrivata a Kennedy Road. Nella stessa notte, i leaders del movimento sono stati presi di mira. Le loro case e i loro negozi sono stati distrutti. Dalle prime ricostruzioni pare evidente che il gruppo di criminali che ha sferrato l’attacco abbia legami diretti con la leadership locale dell’Anc, che aveva promesso, due settimane fa, che avrebbe «reso la sede di Abahlali baseMjondolo una sede dell’Anc».

La polizia è giunta la mattina di domenica e ha arrestato otto persone, tutti attivisti del Krdc. Tra i fermati ci sono anche alcuni che stavano partecipando a una festa popolare a chilometri di distanza quando è avvenuto l’attacco.

La polizia presidia l’insediamento e non fa nulla per evitare che gruppi di criminali armati si aggirino per Kennedy Road. Migliaia di persone hanno abbandonato la baraccopoli. Oltre alle donne e ai bambini, anche gli attivisti di Abahlali hanno lasciato l’insediamento per le minacce di morte ricevute.

Lunedì mattina il presidente della circoscrizione e l’assessore provinciale alla sicurezza sono giunti all’insediamento con una massiccia presenza di polizia. Le autorità hanno lanciato accuse al Krdc, sostenendo che i suoi attivisti sono stati i primi a iniziare le violenze. Vari testimoni, alcuni estranei alle vicende locali, affermano il contrario. Dopo la conferenza l’insediamento è stato lasciato nelle mani di gruppi di uomini armati al soldo dell’Anc che hanno distrutto l’ufficio di Abahlali e minacciato di morte diversi attivisti. Anche simpatizzanti del movimento e vari giornalisti sono stati minacciati ed è stato loro intimato di non avvicinarsi all’insediamento.

Negli ultimi anni il movimento è stato continuamente bersaglio della polizia. I suoi membri sono stati arrestati molte volte, accusati di crimini mai commessi, picchiati, perseguitati, minacciati. Le manifestazioni del movimento sono state vietate e represse, e le autorità hanno cercato di rappresentare il movimento come manovrato da forze esterne e antidemocratiche.

In queste ore i comunicati dell’Anc cercano di addossare la responsabilità di quanto accaduto agli attivisti del movimento e sostengono che sia «inaccettabile che un’associazione decida orari di chiusura ad esercizi commerciali nelle baraccopoli e che imponga alle persone un coprifuoco durante la notte». Per l’Anc non è democratico rispettare una norma di autoregolazione che una comunità si è data, lo è invece un attacco armato che uccide e lascia centinaia di persone senza casa.

È innegabile che il movimento continua a fare paura soprattutto all’ex partito «rivoluzionario». Il fatto che i poveri abbiano deciso di parlare, di fare sentire la propria voce denunciando i tradimenti dell’elite politica è avvertita come una minaccia. L’Anc vuole riconquistare, con ogni mezzo, i territori controllati democraticamente dal movimento.

Il movimento sta dando fastidio con la sua lotta alla corte costituzionale, dove si sta cercando di dichiarare incostituzionale una legge che garantirebbe alle varie municipalità di radere al suolo gli insediamenti e ricacciare gli abitanti verso il «deserto» delle periferie. Sta dando fastidio con il suo rifiuto di partecipare alla «politica» dei partiti, perché è una rete che cresce in tutto il Sud Africa e si oppone agli sgomberi forzati che il governo attua per garantire un immagine patinata in occasione del 2010. L’apartheid non è finito.