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La coppa di Abahlali
Mondiali al contrario, dopo lo straordinario tour sociale italiano, va in Sudafrica. I baraccati sono ora meno soli. E il nostro immaginario sul «paese arcobaleno» molto diverso [Michele Citoni] Il mondiale di calcio 2010 in Sudafrica è quasi al fischio d’inizio, l’immagine glamour della «nazione arcobaleno» e la retorica legata al grande appuntamento mediatico globale stanno per investirci, ma oggi siamo certi che rispetto all’impatto ideologico dell’evento la campagna Mondiali al contrario ha messo in circolo degli anticorpi che solo quindici giorni fa non erano pensabili. Philani Zungu, Busisiwe Mdlalose e Thembani Jerome Ngongoma, i nostri compagni del movimento sudafricano dei baraccati Abahlali baseMjondolo, sono ripartiti lunedì dopo un tour italiano di 4.000 chilometri, dal 18 al 30 maggio, che ha ripulito un po’ della nostra ignoranza, delle nostre semplificazioni e, si spera soprattutto, delle nostre inerzie. Ora molti in Italia sanno che il mondiale di calcio ha consumato risorse finanziarie per miliardi senza che questo abbia ricadute positive sui sudafricani sui più poveri, anche perché la sua preparazione non li ha coinvolti in alcun modo; che anzi ci sono fasce della popolazione penalizzate dall’evento, come i venditori di strada a cui viene impedito di lavorare, o gli «shackdwellers», gli abitanti delle baracche, che vengono espulsi dai loro insediamenti privi di ogni servizio verso campi «di transito» che in più hanno solo il suggello della legalità; che c’è del marcio nel tentativo di fare del mondiale l’occasione per diffondere l’immagine di un paese pacificato; che la questione della terra, mai redistribuita perché il meccanismo di mercato scelto per farlo non può risarcire un’ingiustizia economica secolare, è tuttora lo snodo di fondo attorno al quale ruotano gli altri problemi del Sudafrica a cominciare da quello della casa; che la costituzione sudafricana, una delle più belle al mondo, viene quotidianamente negata e offesa nelle politiche di una classe dirigente in piena mutazione antropologica, che ha fatto del paese il primo della classe in Africa nella fedeltà al neoliberismo. E che però la società sudafricana è tutt’altro che ridotta al silenzio.